sabato 6 febbraio 2016

Chitarra specchio dell'anima

Quando imbraccio la chitarra difficilmente lo faccio con banalità. Se suono una canzone, di solito, è perché quella è la canzone che al mio cuore serve in quel momento.

Posso suonarla bene, posso suonarla male, posso cantarla come mi riesce, ma ci metto l'anima. Se non ci mettessi l'anima, preferirei evitare di suonarla. 

La chitarra è uno strumento vivo e si accorge quando qualcosa non va, decide sempre lei come suonare e soprattutto se suonare.

Ci sono giorni in cui la sua voce è energia, giorni in cui è carezza, giorni in cui è lamento ed infine ci sono giorni in cui è puro latrato. 

Decide lei e a me non resta che assecondarla senza opporre resistenza. Credo che sia inutile forzare le cose: se un giorno una canzone non esce, non esce anche se mi impegno al massimo delle mie scarse possibilità.

Quello che conta, per me, è l'emozione. Senza l'anima, la tecnica non è niente. Ovviamente la tecnica serve ed è importante: se uno suona come se maneggiasse una zappa sempre un musicista osceno rimane, ma senza l'anima penso che la tecnica non sia sufficiente ad emozionare. E' un bluff e i bluff prima o poi vengono inesorabilmente scoperti.

Da sempre mi viene fatto notare che suono spesso canzoni semi-sconosciute che non interessano a chi mi sta ad ascoltare. Critica giusta. E' vero: suono principalmente per mia soddisfazione personale e non suonerei mai canzoni che non mi  piacciono. Non sono un musicista professionista: suono per diletto e suonando, appunto, per diletto voglio che la musica che suono mi dia diletto.

Questo porta ad avere un effetto collaterale sin da quando ho imparato a suonare la chitarra: spesso la gente che mi ascolta non conosce quello che sto suonando. Succedeva con le canzoni di De André vent'anni fa, succedeva con quelle di Guccini e con almeno tre quarti delle canzoni che fanno parte del mio strano repertorio... 

Poi è successo qualcosa, piano piano e in maniera forse impercettibile: con il passare del tempo quelle stesse canzoni me le hanno iniziate a chiedere, sono diventate una specie di marchio di fabbrica perché le suono soltanto io o quasi. 

Questo non può significare che una cosa: avevo ragione a suonarle, incuriosivano, erano belle ed emozionanti. Avevano soltanto bisogno di essere scoperte e valorizzate.

Alla fine, questa è anche una metafora per parlare di me: sono sempre stato "di nicchia", non piaccio a tutti (e neanche ambisco a piacere a tutti, per l'amor di Dio!) e per tanti sono forse soltanto un tipo fuori da certi schemi...però poi succede che qualcuno si prende la briga di scoprirmi e, magari, succede che resta colpito da me. Affascinato forse è una parola troppo grande, ma colpito forse sì.

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