venerdì 27 novembre 2015

Sono i versi a decidere quando nascere

Da un paio di giorni sto cercando di fissare in versi una grandissima emozione. Non è facile. 

Stranamente sento l'esigenza di lasciar decantare la cosa, di farla posare e non metterla subito per scritto come faccio di solito. Se reagisco così è perché questa emozione ha toccato più di altre le corde della mia anima.

Succede, l'ispirazione segue le sue logiche e la penna va dietro alle sue dinamiche. Non so scrivere "a comando", non mi riesce e non lo farò nemmeno questa volta. 

Ma cosa è accaduto di tanto pazzesco? A cosa è dovuta questa mia titubanza?

Tutto è nato da un sogno che ho fatto e che si è rivelato come uno degli avvenimenti più incredibili della mia vita. No, non dirò di cosa si tratta. Troppo personale, troppo intimo, troppo profondo per essere messo in piazza. Davvero troppo mio perché sia parte dell'ostello delle vite bruciate.

A volte la vita fa questi scherzi e non resta che assecondarla. Ci sono eventi, persone, fatti che sembrano marginali e che a distanza di anni si rivelano in tutta la loro pienezza e potenza. E' successo, questa volta è successo. Doveva succedere, doveva accadere. Mancava soltanto la scintilla necessaria per farlo detonare. La scintilla è scattata e la detonazione è avvenuta scioccando e sconvolgendo come si conviene ad una deflagrazione.

Inaspettata, inattesa, sconvolgente emozione. Una delle più vibranti in assoluto. Devo fissarla in versi, deve diventare qualcosa, ma deciderà lei quando nascere. A me non resta che restare con la penna sul cuore, chiudere gli occhi e lasciarmi andare.

martedì 24 novembre 2015

Errori, sbagli, penombra romanica e semplicità


I treni passano, i treni sfrecciano, i treni si possono cogliere come non cogliere. Ne ho persi tanti, troppi, ne perderò e ne prenderò altri. Non importa: la vita è fatta di questo e non si può vivere di ipotesi.

E' andata così, sta andando così, non si sa come andrà in futuro. Per questo ogni volta ricomincio dalle macerie (a volte anche da meno) con rinnovato entusiasmo: se è andata sempre male, non è detto che sia così anche in futuro.

Pazzo? Ottimista? No, non credo di essere né pazzo, né ottimista. Semplicemente, analizzo la situazione e traggo delle conseguenze che possono anche essere sbagliate.

Sbaglio anche io, sbaglio tanto, sbaglio spesso. Non sono perfetto, sono pieno di difetti e commetto decine di errori ogni giorno. Ogni volta, però, cerco di resistere e di ripartire anche se talvolta è difficile farlo perché la voglia di posare è sempre in agguato. Sempre. 

Da quando sono nato ho sempre e soltanto lottato. Inizio a sentire un po' il peso di questa lotta continua senza tregua, ma continuo a lottare perché non so fare altro. Posso perdere (spesso), posso vincere (poche volte, anche se c'è chi mi definisce un vincente), ma lotto e lotterò sempre finché ne avrò la forza.

Perché lotto? Non lo so nemmeno io. Non so nemmeno se valga la pena lottare, ma lotto anche se temo di diventare più personaggio che persona. Non mi piace essere personaggio, non mi piace essere il profeta di qualcosa. 

I profeti non mi piacciono, mi stanno pesantemente antipatici. Non mi piace chi mette bocca su tutto, non mi piace chi viene interpellato su qualunque cosa e non risponde mai "Non lo so, non è il mio campo". 

A volte ho paura di passare per questo, di sembrare così. Io non sono così, non mi sento in quel modo, non mi sento una specie di pontefice che dispensa chissà quali consigli o chissà quali opinioni da un balcone. Anche perché ho una certa antipatia per i balconi e per chi ci si affaccia...

Ho un sincero terrore di passare per una specie di macchietta, una sorta di vate di chissà cosa. Sono molto più semplice di come tante persone si immaginano che io sia. 

Per colpirmi basta poco: basta la semplicità, basta uno spontaneo gesto di umanità, anche la semplice presenza senza tanti fronzoli. Sono più romanico che barocco, non amo fronzoli e orpelli neanche nei rapporti personali. 

Sono per le cose semplici: preferisco una bruschetta, un'acquacotta, la trippa (senza dimenticare un bicchiere di vino perché murare a secco con certe cibarie fa male) o anche un carciofo al caviale e allo champagne.

giovedì 19 novembre 2015

Ricordando una persona speciale

Quando muore un artista tutti mettono in risalto la sua arte. E' comprensibile, è ovvio, è giusto.

Il 3 ottobre scorso è morto Rodolfo Maltese, chitarrista del Banco del Mutuo Soccorso, ed è successa una cosa bellissima che mi ha colpito molto: tutti, ma proprio tutti, hanno messo in secondo piano l'enorme aspetto artistico per sottolineare il fatto che Rudy era una persona speciale.

E' proprio così, credetemi: Rodolfo era una persona buona, pulita e molto sensibile, una persona unica. Per come l'ho conosciuto in questi anni, posso dire che si tratta di una delle migliori energie che abbia mai incontrato.

In questo periodo non ho scritto molto su di lui e ne ho parlato ancora meno. C'è una ragione ed è molto semplice: il lutto è un fatto privato e non voglio assolutamente entrare nel dolore infinito di chi lo ha conosciuto molto meglio e più a lungo di me. Prima del chitarrista è morto un uomo. Non so come spiegare diversamente questa cosa, ma spero di essere stato chiaro.

Negli ultimi anni ci sentivamo spesso con Rudy al telefono, l'ultima volta a luglio 2015, ed ogni volta avevo paura di disturbarlo. Lui era sempre disponibile e carinissimo con me, contento di sentirmi e di scambiare due chiacchiere, ma io avevo sempre paura di dargli noia. Anche se mi diceva sempre che non disturbavo e che potevo chiamarlo quando volevo, l'ho sempre rispettato come amico e come musicista al punto di pensarci più volte prima di telefonargli.

Rudy trasmetteva una sensazione di limpidezza che poche altre persone mi hanno dato. Per lui parlava e parla il modo con cui teneva in mano la chitarra: sembrava che tenesse in mano una donna. Non l'ho mai visto aggressivo sullo strumento, trasmetteva emozioni potenti con il tocco più lieve possibile.

Mi azzardo a fare un paragone che non so se verrà capito: Rodolfo Maltese come George Harrison è stato una colonna nel gruppo in cui ha suonato, ma non ha mai avuto troppo la ribalta delle copertine delle riviste.  

Mi piacerebbe chiedergli se si rivede in questo parallelo, mi piacerebbe chiedergli molto altro, ma gli occhi si imbevono di pianto ed il pensiero va ad una telefonata che non farò il giorno di Natale. 

Basta così, non riesco ad andare avanti. Eterna è la strada che va, la primavera è inesorabile.

martedì 17 novembre 2015

Di goal, accordi ed altre sciocchezze

In quanto a gusti musicali sono sempre stato piuttosto strano. Ne parlavo anche l'altro giorno su una panchina con una persona del fatto che già ai tempi di scuola mentre tutti ascoltavano 883 e Ligabue, io viaggiavo su un'altra dimensione a Nomadi, Mcr, Pfm, Banco, Beatles, Area. 

Oltre al rock internazionale, il mio pane quotidiano erano cantautori come Fabrizio De André, Piero Ciampi, Francesco Guccini, Lucio Dalla, Francesco De Gregori e quant'altro. Tutto questo senza citare i Beatles, che per me sono una cosa a parte. Praticamente, avevo gli stessi gusti di adesso.

Non so se sia un bene o un male, ma a quindici anni anni ascoltavo quello che ascolto ancora oggi che di anni ne ho quasi 37. Le cose sono due: o ero vecchio allora (si), o sono giovane adesso (no). Scegliete voi la risposta.

Il fatto è che una cosa o emoziona o non emoziona e con certe canzoni non mi emoziono. Ho bisogno di emozioni, vivo di emozioni più o meno indefinibili e se una canzone non mi dice niente non riesco ad ascoltarla o a suonarla con la chitarra. Meglio suonare e cantare male una canzone mettendoci il cuore che interpretarla perfettamente ma con distacco. Io sono così: faccio, o almeno cerco di fare, solo le cose in cui credo.

Non me ne vogliano quelli che mi chiedono certe canzoni alla chitarra le volte che capita di suonare in giro soprattutto d'estate: preferisco suonare "Cotton fields" dei Creedence Clearwater Revival o "Il vino" di Piero Ciampi piuttosto che "Il mio nome è mai più" o "Come mai". Meglio "Rock and Roll robot" di Alberto Camerini (Sì, mi piace Alberto Camerini) o "Areknames" di Franco Battiato di tanta roba di adesso che non mi dice niente. Sarà anche bella, ma non mi dice niente e non mi metto lì ad impararla con la chitarra.

Tutto questo porta ad un piccolo inconveniente: quando suono, la gente mi guarda come se fossi un alieno perché non conosce quello che suono. Bel guaio, soprattutto si tratta di dover fare presa su qualcuna e dovrei forse scendere a patti (non Patti Smith, quella certo che la suono!).

Non sono un chitarrista "da acchiappo". Non lo sono mai stato e difficilmente lo sarò in futuro. Quando andavo a scuola chi suonava Ligabue aveva cinquanta persone intorno, io che suonavo De André avevo per compagna la mia chitarra.

Negli anni ho avuto la mia piccola rivincita vedendo le stesse persone che mi disprezzavano (parola grossa, ma non so se esiste una parola meno dura per descrivere il fatto che scappavano da me per andare da chi suonava le cose più mainstream) arrivare più o meno timidamente a chiedermi di suonare le canzoni che amo. Quelle canzoni che allora per loro erano roba strana, assurda, forse inascoltabile.

Forse ero troppo avanti, forse lo sono tuttora. Fatto sta che mi fa molto piacere quando qualcuno mi chiede di suonare qualcosa di Woody Guthrie, di Georges Brassens, di Bob Dylan o degli altri che suono regolarmente quando sono da solo in camera mia. Vuol dire che, alla lunga (probabilmente) ho vinto o, quantomeno, ho segnato un piccolo goal anche io.


lunedì 16 novembre 2015

Imbrunire, tempo di riflessioni

Maledetta sensibilità!
 
Quella cosa cosa che ti fa dubitare di te stesso, che la chiami "Carattere di merda" e ti fa essere triste anche quando tutto intorno a te sorride e ti sembra strano.

No, non triste... meglio dire malinconico... blues... forse blues è la parola giusta... quella parola che identifica un malessere interiore, una macchia, uno spleen che è sempre lì presente e in agguato anche quando sembra che non ci sia, anche quando ti sembra di gustare una gioia e ti accorgi che questa gioia è inquinata da qualcosa che la sporca.

Ho voglia di evadere da questa cappa di tristezza che mi fa male, ho voglia di evadere da ciò che mi opprime, ho voglia di starmene in un prato a suonare la chitarra con la compagnia giusta. 

Ecco cosa mi ci vorrebbe! Mica sono un alieno! Mica sono un asceta che vive in cima alla sua bella colonna come un monaco stilita! 

Ho proprio voglia di queste cose, di emozioni normali eppure fortissime... ho voglia di vivere momenti felici e sorridenti, ho voglia di calore umano, di relazioni umane reali e non virtuali.

Che palle la rete, che palle i social network se devono essere un surrogato della vita reale in cui tutti vomitano odio e diffidenza verso l'altro...

Ho fame di vita vera, di abbracci, di strette di mano, di fiaschi di vino bevuti in compagnia, di notte passate a guardare le stelle... e vaffanculo a certi link romantico-malinconici che servono soltanto a diffondere tristezza... mai messo uno su Facebook... insegnano soltanto a vedere il brutto in chi si ha accanto, solo questo... e fanno un danno enorme a chi non è uno stronzo e finisce per sentircisi...

Mi viene da ridere a leggere certe belle frasi ad effetto nelle bacheche di chi cerca il principe azzurro e poi non lo nota se gli passa accanto... ridere? No, forse semmai da piangere...

Ecco, allora, che torna su quel sentimento, quel blues, quella sensazione di essere invisibile, di essere più personaggio che persona. La sensazione più brutta del mondo ma anche la più utile perché ti fa capire chi ti è vicino per quello che sei e non per quello che altri si immaginano che tu sia.

Sono molto critico con me stesso, ho un carattere di merda (appunto) che mi penalizza, ho milioni di difetti, ma qualche pregio mi dicono che lo posseggo anche se difficilmente me li riconosco. Non sono sbagliato, forse, e non penso nemmeno di essere più di tanto incomprensibile.
 
Cosa sono? Da anni sostengo di essere un granello di sabbia nell'esistenza delle persone. Niente di particolare, ma a volte può succedere che questo granello si infili in un occhio ed ecco allora che si nota. 

Non faccio niente per essere notato, ma per chi ha voglia di conoscermi spero di essere una persona almeno decente ed una compagnia piacevole. Con tutte le mie contraddizioni e con tutti i miei difetti, tipo quello di aver scritto questo post che vorrei cancellare. 

domenica 15 novembre 2015

Ave popolo!

Un blog. Perché un blog? Perché "Ostello delle vite bruciate"?

Fondamentalmente perché ho voglia di scrivere con una certa libertà e certi spazi mi stanno stretti. Ho bisogno di aria e, dopo più di un anno, ho deciso di seguire il consiglio del mio amico Alessandro Corina (ex calciatore, bravo e sfigatissimo, del Grosseto) che mi suggeriva di aprire un blog.

Oggi gli ho dato retta ed ho aperto questo spazio per dire la mia su vari argomenti che possono essere anche in apparenza slegati tra loro.

Cosa ci scriverò? Vedremo di volta in volta, sono poliedrico e non amo rimanere imbrigliato in un filone univoco. Musica, sport, fotografie, la mia amata Maremma, riflessioni che meritano di essere scritte qui... è l'ostello delle vite bruciate, non un giornale e nemmeno un diario.

L'ostello delle vite bruciate per chi mi conosce è un luogo familiare, gli altri lo impareranno a conoscere.
Ha l'odore del whiskey e il colore della resistenza nell'anima e metto subito in chiaro una cosa: questo è un blog dichiaratamente antirazzista e non ammetto deroghe a questa precisa ed intenzionale caratteristica.

Almeno qui voglio stare bene e non voglio intorno razzisti, più o meno dichiarati che siano.